Dida: manifesto serbo per le vie di Belgrado che recita: " La Serbia senza Kosovo è come un uomo senza cuore"

Intanto in Kosovo, la regione a maggioranza albanese torna a salire la tensione.

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Estero | 

Balcani ventre molle d’Europa. Vecchia storia, che però, a quanto pare, l’opinione pubblica internazionale e in particolar modo quella europea, si ostinano a non voler apprendere. E ora, di nuovo, gli occhi di tutto il mondo sono puntati sulla fascia di terra incastrata tra l’Adriatico e i Carpazi. Nelle ultime settimane infatti il Kosovo, la regione a maggioranza albanese auto dichiaratasi indipendente da Belgrado nel 2008, e che era stata scenario di una guerra tra l’esercito serbo e i paramilitari dell’UCK nel ’98-’99, è tornata a infiammarsi. Le città del nord sono divenute il palcoscenico di scontri tra dimostranti serbi e le forze del contingente Nato KFOR e il bilancio è stato di diverse decine di feriti, compresi quattordici militari italiani. Ma cosa c’è all’origine di questa nuova escalation? Dando per appurato che il ritorno della violenza in Kosovo è la riprova dei fallimenti degli accordi internazionali che si sono succeduti negli anni e che non sono mai riusciti a sanare le divisioni tra la comunità albanese e quella serba, il casus belli questa volta va ricercato nella cosiddetta “guerra delle targhe”. Pristina voleva imporre una nuova immatricolazione a tutte le auto eliminando le vecchie targhe che Belgrado, dal momento che non riconosce l’indipendenza del Kosovo, continua a rilasciare ai cittadini serbi che abitano nella sua ex regione. Il provvedimento ha provocato le dimissioni in massa dei sindaci nelle municipalità con maggioranza serba alle quali poi sono seguite nuove elezioni indette dall’esecutivo kosovaro che hanno visto la vittoria proprio dei leader politici albanesi. Ed è stato il mancato riconoscimento da parte della popolazione slava del risultato elettorale di fine aprile ad aver provocato le proteste che sono sfociate in violenti scontri. Le notizie hanno subito preoccupato la comunità internazionale per il timore che il Kosovo possa divenire un nuovo Donbass e poi incendiare tutta l’area balcanica. Scambi di accuse tra il Cremlino e la Nato su quanto avvenuto nei municipi kosovari non sono mancati ma il rischio di una deriva che porti a un nuovo conflitto in Europa è molto remota dal momento che vedrebbe tutti gli attori coinvolti rischiare di pagare un prezzo altissimo che non converrebbe a nessuno. Unione Europea, Stati Uniti, Russia, Serbia e Kosovo, ne uscirebbero tutti sconfitti politicamente ed economicamente e quindi la vicenda del Kosovo, per forza di cosa, vedrà il ritorno al dialogo delle cancellerie internazionali. E quindi, perché anziché descrivere quanto accaduto come l’inizio di una nuova guerra non raccontarlo invece come il principio del ritorno della pace? La ripresa del dialogo tra le diplomazie in merito al Kosovo potrebbe infatti poi essere il propulsore per il ritorno alla loro collaborazione anche sulla questione ucraina. Per invertire la loro rotta talvolta basta anche solo cambiare la prospettiva dello sguardo.

(Daniele Bellocchio)